Il vino sardo

Quando si parla di viticoltura in Sardegna, occorre innanzitutto sottolineare la straordinaria varietà di specie presenti nelle coltivazioni dell’isola, le quali in particolare negli ultimi decenni, hanno contribuito a produrre un’offerta enologica di straordinaria ricchezza.

Questa grande molteplicità di specie è dovuta sopratutto alle caratteristiche morfologiche dell’isola, che ha tra le sue peculiarità principali una varietà di ambienti naturali molto differenti tra loro, spesso con microclimi diversi nello spazio di poche decine di chilometri. Tutto ciò è dovuto a un territorio ricco di rilievi, geologicamente molto vario, e una fortunata collocazione geografica nel Mediterraneo che consente di avere due distinte aree climatiche tra il nord ed il sud.

 

IL VINO, LINFA DI UNA TERRA ANTICA.

Sembra proprio che questa terra sia sorta dal mare per accogliere i numerosi contrasti che la natura sa offrire: dai colori delle ampie distese collinari, ai lunghi silenzi che si possono godere dalle alture dei suoi antichi rilievi montuosi, dove sorgono vaste foreste di castagni e lecci; dalle assolate e fertili terre del Campidano, alla tonalità del cielo durante l’alba o il tramonto lungo la costa, a tratti alta ed impervia e a tratti dolcissima ed impreziosita da spiagge dove il mare assume tonalità talmente brillanti da sembrare irreali.

In questo contesto, dove il contrasto regna sovrano, anche l’indole delle sue genti ha assunto analoghe caratteristiche. E’ quindi naturale che il prodotto più nobile di questa terra, esprima il carattere dell’ambiente dal quale nasce.

Il vino è un elemento che trascende il semplice prodotto agricolo. Esso ha in se l’anima, della terra da dove è stato generato ed il carattere di chi l’ha plasmato.

Se si ha la curiosità di capire fino in fondo la Sardegna e la sua gente, non ci si può esimere dal conoscere e farsi guidare dal suo nettare che contiene il segreto della sua anima; un’anima magica e misteriosa, ricca di storia e di leggende che parlano di fate e streghe, di giganti ed animali mitologici. Leggende che sorgono dall’irrazionale e innato desiderio da parte di uomini, temprati da una vita dura e ripetitiva fatta di lavoro nei campi o di solitudine nei pascoli, di immaginare il fantastico.

Quando la sera, finalmente abbandonati davanti al fuoco in un’atmosfera sospesa nel tempo e addolcita dal vino, queste leggende raccontate con eloquio mistico e sapiente, assumevano la dignità di storie per attraversare immutate, tramandate da generazioni, il trascorrere del tempo.

 

STORIA DELL’ENOLOGIA IN SARDEGNA:

Dalle Origini alla prima metà del XIX sec.

Le origini di questa storia, sono lontane e denotano, sin dalla notte dei tempi, le altalenanti sorti della viticoltura sarda, che in epoche diverse ha alternato momenti di maggior fortuna e lunghi periodi di crisi e decadenza.

Sembra ormai appurato che la “Vitis vinifera” sia una specie autoctona della Sardegna, come d’altronde lo è per numerose regioni mediterranee.

Negli ultimi decenni, ricerche archeologiche hanno rinvenuto tracce di questa pianta in epoca nuragica, ipotizzando perciò una capacità di queste popolazioni di produrre vino. Inoltre si è ormai certi che vitigni quali il Cannonau ed con buona probabilità anche il il Nuragus, non solo siano originari del luogo, ma anche tra i vitigni più antichi del bacino mediterraneo.

Successivamente con l’arrivo dei Fenici, sopratutto sulle coste meridionali dell’isola, fu incentivata la coltivazione della vite a scopi commerciali, la quale è proseguita con i Cartaginesi per arrivare ai Romani che tra l’altro erano grandi estimatori del vino proveniente dalla Sardegna, in particolar modo quello bianco.

Dopo la caduta dell’impero romano, in epoca Bizantina e per tutto l’alto medioevo, la coltura della vite subì una profonda decadenza, sopravisse in aree limitate grazie soprattutto all’opera degli ordini monastici chiamati dai sovrani dei regni giudicali per colonizzare le campagne. Un significativo sviluppo si ebbe in periodo tardo giudicale nel regno d’Arborea.

Fu però durante il periodo spagnolo che ebbe luogo un importante arricchimento di varietà delle colture con l’inserimento di nuovi vitigni e l’introduzione di nuove conoscenze.

Con il passaggio della Sardegna dalla corona spagnola alla dinastia dei Savoia vi fu invece una decisa involuzione, a causa della mancanza di una politica agricola che incentivasse la ripresa del settore. Furono invece introdotte leggi (in primis quella contestatissima delle chiudende) che segnarono negativamente per molto tempo lo sviluppo dell’isola.

In effetti per oltre un secolo la Sardegna aveva semplicemente il ruolo di fornire legname, materie prime e sodati utili allo sviluppo del Piemonte.

Ottocento e Novecento.

Durante il XIX secolo, la situazione vitivinicola Sarda, non era propriamente florida. La produzione era limitata al fabbisogno locale, se non familiare, le coltivazioni più diffuse si trovavano soprattutto nel Campidano e nelle aree collinari della Trexenta e del Parteolla. I vini prodotti subivano ovviamente l’influenza di colture a basso fusto e di bassa resa, le quali, complice il clima particolarmente arido di quei luoghi e le scarse nozioni tecniche, davano un vino di non grande finezza, particolarmente alcolico e di spiccato aroma, adatto più che altro a “tagliare” il vino di altre regioni.

Nella seconda metà del secolo, si è cercato di disciplinare e razionalizzare il comparto vitivinicolo con l’istituzione della Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia di Cagliari, la quale diede un certo impulso al settore. Tuttavia l’impegno di questa istituzione, pur introducendo nuovi disciplinari e tecniche di coltivazione e produzione più attinenti ai tempi, diede risultati solo parzialmente soddisfacenti in quanto le proposte avanzate dai tecnici spesso faticavano a penetrare usi e cultura locali legati fortemente al vino robusto della tradizione.

Fu poi la comparsa della filosseraa cavallo tra i due secoli a decretare l’ennesima profonda crisi del settore. Inizialmente essa si diffuse nel nord Sardegna per poi colpire l’intera regione. In pochi decenni l’estensione dei campi coltivati a vite si ridusse di circa tre quinti, e le conseguenze si continuarono a sentire per buona parte del secolo successivo, fino al secondo dopoguerra.

A partire dagli anni ’40 si avviarono i primi esperimenti per trasformare le colture tradizionali con sistemi “a spalliera o “a tendone” dalla resa maggiore, ma fu con l’istituzione della Regione Autonoma della Sardegna che vennero gettate le basi per una svolta definitiva. Con l’istituzione della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Sassari e l’impegno dei tecnici del centro di sperimentazione del Consorzio Agrario della Viticoltura di Cagliari, vi fu un notevole contributo alla trasformazione della viticoltura in tutto il territorio regionale.

Si incrementarono le superfici coltivate, ( solo in parte ricostituite dai tempi della filossera ), incentivando la produzione dei vini da tavola ed istituendo numerose cantine sociali nel territorio.

Questo periodo che va dalla seconda metà degli anni “50 fino ai primi anni “70, sicuramente consentì un aumento di produzione dei vini da tavola prodotti nell’isola, nuove tecniche consentirono ad un vitigno tradizionale ma non particolarmente raffinato come il Nuragus di uscirne trasformato nella struttura più secco e raffinato, di contro impoverì notevolmente la varietà di uve coltivate. Per esempio Cannonau e Nuragus occupavano la gran parte della produzione, e inoltre, contro la tradizione che vuole la Sardegna terra vini rossi, si diede una maggior rilevanza ai vini bianchi, più apprezzati nei mercati d’oltre mare.

Nonostante questo rinnovamento portò ad un deciso aumento della produzione e maggior resa delle uve, i risultati in cantina non furono così convincenti. Per esempio vitigni tipici come il Monica furono molto impoveriti dai nuovi metodi di lavorazione, e non potevano competere sul mercato con i rossi più blasonati prodotti nelle regioni dove la tradizione e l’innovazione sono sempre state una costante.

L’incremento produttivo non supportato dalla qualità creò difficoltà nei mercati, inoltre i costi sostenuti per l’esportazione dall’isola non consentivano prezzi concorrenziali. Questo portò molti viticoltori a metà degli anni “ 70 ad accettare i contributi di espiantazione offerti dalla CEE, e conseguentemente ad una ennesima riduzione della superficie viticola coltivata, oltre alla chiusura di numerose cantine sociali.

Dalla fine degli anni “70 ai giorni nostri.

Il periodo appena esaminato, nonostante le grosse problematiche e gli errori commessi, merita una valutazione attenta e non così negativa come può apparire. E’ allora che si gettarono le basi per una viticoltura finalmente moderna con un notevole contributo alla trasformazione del modo di concepire la coltivazione e la produzione in tutto il territorio regionale. Inoltre con la creazione delle cantine sociali, furono introdotti dei disciplinari di produzione quasi sconosciuti ai più, che consentirono poi alla Sardegna di acquisire numerosi marchi D.O.C. e I.G.T. ed un riconoscimento D.O.C.G. per il Vermentino di Gallura.

Le conoscenze aquisite durante i decenni appena trascorsi, pur con un’ipostazione imprenditoriale assai diversa rispetto al passato, crearono i presuposti per il rilancio del settore. A partire dalla fine degli anni “70 ed agli inizi degli anni “80 infatti, l’iniziativa di alcuni produttori privati spinti da uno spirito d’impresa finalmente competitivo , e non più condizionato da “incentivi” economici assistenziali, insieme alla riorganizzazione di alcune cantine sociali, ha creato l’odierna viticoltura Sarda. Oggi le produzioni sono mirate alla ricerca dell’alta qualità, non più rivolti ad un mercato generalista ma al consumatore attento e consapevole. Questi risultati sono stati ottenuti grazie anche alla collaborazione di questi produttori con Tecnici ed Enologi di fama internazionale, che hanno contribuito a creare delle etichette considerate vere e proprie icone e vini molto spesso premiati nelle manifestazioni del settore. Tutto ciò è stato fatto valorizzando notevolmente i vitigni più tradizionali dell’isola, anche quelli per un po’ dimenticati, ne è un esempio la recente grande ascesa del Carignano del Sulcis, ed introducendo vitigni di tradizione internazionale come ad esempio il Cabernet Sauvignon e lo Chardonnay i quali si sono fortemente caratterizzati con il territorio contribuendo anch’essi a creare uvaggi di grande valore.

Si è assistito inoltre ad un rinnovato interesse per quest’arte da parte di giovani appassionati contribuendo così a creare nuove professionalità, tutte locali.

Considerazioni finali

In conclusione possiamo affermare che oggi la situazione generale del comparto appare sicuramente buona; sia in termini qualitativi che di gamma dell’offerta, è sicuramente la migliore che la Sardegna abbia mai conosciuto. Nell’ultimo decennio vi è stata una netta evoluzione sopratutto in termini gestionali, ed il produttore da semplice agricoltore è finalmente diventato anche manager consapevole dei destini della propria azienda. Qualità, ricerca e marketing sono diventate parole d’ordine di alcune aziende che, crescendo sul mercato, hanno acquisito prestigio aggiudicandosi numerosi riconoscimenti importanti sia al livello nazionale che internazionale. Tutto ciò ha favorito una tendenza positiva in tutto il comparto, stimolando al rinnovamento altre cantine, anche storiche, facendo così raggiungere alla viticoltura sarda importanti risultati. Tutto questo però potrebbe non essere sufficiente, in particolar modo nella società di oggi, dove le informazioni vengono diffuse a ritmi vertiginosi ed il mercato cambia rapidamente, affidarsi all’iniziativa del singolo e di alcune pur prestigiose etichette non dà nessuna garanzia,. L’obbiettivo dovrebbe essere quello di far percepire al consumatore medio nazionale, e non solo all’intenditore, l’effettivo livello complessivo raggiunto dai vostri vini, che al contrario di quel che possa apparire in loco, non ha ancora ottenuto una valutazione d’insieme univoca presso altri mercati, come per esempio in quelle regioni di consolidata tradizione o quelle emergenti dove gli investimenti in questo senso sono stati cospicui. Tutto ciò non solo non rende giustizia ad una realtà molto spesso migliore di altri territori più pubblicizzati, ma rischia di vanificare parte dei risultati raggiunti in questi anni. La sfida ambiziosa è dare un’immagine d’insieme del settore che rispecchi la realtà produttiva, far si insomma che il vino sardo sia nella sua globalità sinonimo di qualità e garanzia per tutto il mercato. E’ però necessario fare un ulteriore passo in avanti e prendere in considerazione la possibilità di creare strumenti associativi agili, che abbiano solo questo fine. Gli esempi positivi in altre realtà non mancano.

Massimiliano Zucca

 

Vini DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita)

Vermentino di Gallura

Vini DOC (Denominazione di Origine Controllata)
Alghero
Arborea
Campidano di Terralba
Cannonau di Sardegna
Carignano del Sulcis
Girò di Cagliari
Malvasia di Bosa
Malvasia di Cagliari
Mandrolisai
Monica di Cagliari
Monica di Sardegna
Moscato di Cagliari
Moscato di Sardegna
Moscato di Sorso e Sennori
Nasco di Cagliari
Nuragus di Cagliari
Sardegna Semidano
Vermentino di Sardegna
Vernaccia di Oristano
 
Vini IGT (Indicazione Geografica Tipica)
Barbagia
Colli del Limbara
Isola dei Nuraghi
Marmilla
Nurra
Ogliastra
Parteolla
Planaria
Provincia di Nuoro
Romangia
Sibiola
Tharros
Trexenta
Valle del Tirso
Valli di Porto Pino

 

 

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